venerdì 9 febbraio 2018

Il ritorno di Linspire, con una veloce recensione a cura dell'esperto


Un po' di storia

Qualche secolo informatico fa, nel 2001, una nuova distribuzione commerciale (dove per commerciale significa "a pagamento") apparve nell'arena Linux: Lindows. Dopo qualche bega legale e 20 milioni di dollari venne poi rinominata in Linspire. La distribuzione era una creatura del discusso imprenditore americano Michael Robertson, e aveva delle caratteristiche peculiari che la rendevano molto interessante: massima compatibilità con i principali programmi Windows (grazie all'uso di Wine), e facilità di installazione e aggiornamento grazie al software "Click and Run" (CNR). Voleva essere un ponte per traghettare gli utenti da Windows a Linux.

L'approccio estremamente pragmatico della distribuzione, che mescolava software libero con altro proprietario, attirò parecchie critiche, tanto che Richard Stallman arrivò a dire che "passare da Windows a Linspire non porta alla libertà ma a un padrone diverso".

Nonostante le critiche, la distribuzione ebbe un discreto successo, specie negli USA. Sull'onda del successo, Linspire finanziò altri progetti open source, e anche eventi molto importanti. Nel 2007 arrivò a stringere un accordo con Canonical per utilizzare CNR su Ubuntu (che mai si concretizzò) e un altro accordo con Microsoft per favorire l'interoperabilità con Windows.

Nonostante questo, Linspire si perse poi nelle spire del tempo, tra acquisizioni e cambi di management.

Il ritorno (eh?)

Qualche giorno fa ho letto della rinascita di Linspire (e della sua gemella Freespire). La forumula di vendita è pressoché uguale: Linspire costa 80 $ mentre Freespire è gratuita. La differenza di prezzo sta nel supporto telefonico per un anno, e nell'uso legale dei codec multimediali - sembra che in qualche parte del Mondo sia ancora un reato perseguito ascoltare MP3 senza possederne la licenza.

Lispire adesso è sviluppata da PC/OpenSystems LLC, una piccola azienda di Franklinton, North Carolina. La stessa azienda rilascia anche Black Lab Linux, una distribuzione - che non conoscevo - basata su Ubuntu.

Zombie (a)Live

Incuriosito da questa apparizione, ho deciso di provare sul campo Linspire 7.0. I 30 $ di prezzo minimo (senza supporto) mi hanno fatto desistere. Ho quindi ripiegato su Freespire 3.0 (gratuita), atteso pazientemente il download degli 1,5 GB, formattata una chiavetta USB e avviata la versione "live".


Il desktop di Freespire 3.0 si fa notare per la barra posizionata in basso, particolarmente grande, con una "f" sulla destra. Il tutto ricorda molto Windows 7, che è forse l'effetto voluto.


La scelta delle icone mi crea un certo disagio: sembrano create negli anni '90, senza un minimo di criterio e omogeneità.

Per questa prova "live" uso un portatile HP, su cui è installato Ubuntu 16.04 con hardware del tutto standard, ma il wi-fi non funziona. Brutto segnale, sintomo di carenza nei test pre-rilascio.

Facendo clic sulla "f" appare il menu principale, si tratta del menu Whisker, presente anche in Xubuntu. E qui cominciano i primi sospetti "Vuoi vedere che...".

Le applicazioni preinstallate sono:
  • browser Firefox Quantum
  • e-mail client Geary 
  • Abiword e Gnumeric per documenti e fogli di calcolo
  • Parole Media Player per i video
  • Pinta per disegno e fotoritocco
  • Audacious per la musica
e poco altro. A parte Firefox, la scelta delle applicazioni lascia molto perplessi, ce ne sono altre molto più complete di queste!

Una sorpresa divertente che conferma i sospetti quando faccio clic sul salvagente, icona di "Help".


"Signore e signori, ecco a voi Stanislao... ehr... Xubuntu, in uno dei suoi più riusciti travestimenti!"
Mi viene da ridere, o piangere. Tanto clamore e articoli per una Xubuntu camuffata, roba che un qualsiasi LUG può mettere insieme in un pomeriggio. Anche "About" di XFCE conferma il delitto.


Apro qualche programma a caso, giusto per vedere di cosa si tratta e noto delle incongruenze nel tema delle finestre tra i programmi, basati su librerie diverse.


Notate la differenza tra i pulsanti delle finestre in alto a destra del tool di Backup e Thunar?

La prova termina sostanzialmente qui, Xubuntu 16.04 la conosco, l'ho già installata su uno dei PC di casa, e funziona bene anche senza questi baffi posticci.

Considerazioni finali

Freespire differisce da Linspire per alcune applicazioni fondamentali: Abiword/Gnumeric (Linspire ha LibreOffice), Geary (Thunderbird), Firefox (Chrome), Audacious (Rhythmbox), Parole (VLC) che ne fanno una versione impoverita della sorella. Credo sia un modo per spingere le persone a comprare Linspire (you can't be serious!!), ma si tratta di una scelta discutibile per almeno un paio di motivi. Primo: tutti i programmi disponibili su Linspire sono gratuiti, e quindi appunto NON è una questione di prezzo. In più, gli sviluppatori devono sobbarcarsi la fatica di mantenere due distribuzioni diverse, ognuna con diversi tempi di sviluppo, e diversi bug da correggere.

Freespire non ha niente a che vedere con Linspire/Freespire delle origini. A tutti gli effetti è una Xubuntu 16.04 aggiornata (alcuni pacchetti sono più recenti) e personalizzata, ma neanche tanto bene: qualche scritta Xubuntu appare qua e là (vedi sopra), la grafica è a volte incoerente (vedi i menu delle finestre) e la scelta delle applicazioni preinstallate è avvilente.

Distrowatch - che è un sito molto più serio di questo blog - ha fatto una bella recensione (in inglese) di Freespire 3.0 e Linspire 7.0, che vi invito a leggere, se avete il gusto sadico di ravanare nel torbido.

Freespire è pensata per chi si avvicina a Linux, ma chi si avvicina a Linux ha già moltissime altre distribuzioni migliori tra cui scegliere, le prime tre che mi vengono in mente: Xubuntu, Linux Mint, ZorinOS.

Auguro la miglior fortuna agli sviluppatori di Linspire/Freespire: ne avranno bisogno.

L'immagine del post "Zombie Penguin" è di Olga Karvitska.

lunedì 5 febbraio 2018

Chinotto omeopatico

 

Anni fa feci un post sul "Mistero del Chinotto", in cui disquisivo sulla composizione delle bevande che si pregiano di tale denominazione (o sue varianti tronche). Il dubbio riguardava la presunta presenza di vero chinotto nella bevanda definita "chinotto".

Ho scoperto che un'azienda è si è preocuppata di segnalarne la percentuale. Da tenere presente che una qualsiasi aranciata, per fregiarsi della denominazione "aranciata" deve avere almeno il 12% di succo di arancia.

Nel riconoscere il merito a questa eccezione, dove altre aziende più prestigiose che si pregiano di prestigiosi presidi, non posso che apprendere con estremo sconforto che si tratta di una dose esigua: 0,05%, pari a 1 cucchiano da tè per 10 litri.
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