martedì 24 febbraio 2009

L’inutilità del nuovo.

C’è una citazione molto famosa, tanto quanto probabilmente vera, attribuita a William Preece, capo ingegnere delle Reali Poste Britanniche “Gli americani hanno bisogno del telefono; noi [britannici] no. Abbiamo postini a sufficienza”.

Venendo ai giorni nostri, mi è capitato di assistere ad un episodio di civetteria familiare. A Natale i genitori decisero di regalare il cellulare alla loro figlia, studentessa universitaria. Tre parenti (stranamente tutte donne), esclamarono in coro: “Ma che se ne fa? A cosa gli serve il cellulare? Che spreco di soldi!”. Entro 6 mesi tutte e tre avevano il loro cellulare.

Altra esperienza: seguendo da spettatore la ML di un LUG, mi è capitato di vedere flame in cui persone che si conoscono da anni si insultano per futili motivi. Ho proposto loro di introdurre un “codice di comportamento”. Mi è stato risposto che è inutile, non serve regolare qualcosa che è già dettato dal buon senso. Tutto bene, fino al flame seguente.

Ancora più recentemente. In azienda si stanno introducendo nuovi strumenti di istant messaging, web conferencing, social e web networking (non chiedetemi di spiegarveli, fate atto di fede e credetemi: sono nuovi strumenti di comunicazione). Sul blog aziendale, alcune persone sono scettiche sulla loro utilità: "a cosa ci servono, abbiamo già la posta aziendale, il cellulare, il telefono fisso, e la videoconferenza?" In questo caso, non posso dire come sia andata a finire, ma posso immaginarlo, imparando dal passato.

C’è una fatale e inevitabile resistenza a tutto quello che è “nuovo”. Un po’ per paura, un po’ per ignoranza (di cui la paura è un sintomo), gli esseri umani sono restii al cambiamento. Gli esseri umani italiani ancora di più (un esempio per tutti: guidiamo ancora auto con il cambio manuale!)

Mi è capitato di trovare questa resistenza anche in altri settori, che pensavo più aperti al nuovo. Vorrei perciò mettere in risalto alcuni aspetti che ci dicono che è indispensabile e inevitabile aumentare la comunicazione, utilizzando tutti gli strumenti, e cercando ovviamente di conciliarla con le possibilità in campo.

Primo: comunicare è fondamentale in qualsiasi lavoro. Il modello dello scienziato che si chiude dentro un laboratorio e ne esce con un’invenzione o una scoperta clamorosa è ormai finito da tempo. Se notate, i Nobel scientifici sono sempre più attribuiti a 2-3 scienziati per volta. A loro volta, il loro lavoro si basa sulle conoscenze dei loro predecessori, le famose “spalle dei giganti” su cui anche il pur grande Isaac Newton si basò per “vedere lontano”.
Questo è tanto più vero per tutti i gruppo di lavoro volontari, che si basano sul lavoro di tanti piccoli (non in termini di capacità, ma in termini di tempo a disposizione, che non è mai abbastanza!) volontari, che possono spingere in alto il loro progetto solo con il lavoro di tutti.
Dal momento che la comunicazione quindi è importante, lo sono anche i mezzi di comunicazione, nessuno escluso, che aiutano il singolo a diventare gruppo, il famoso valore aggiunto del gruppo in cui 1 singolo + 1 singolo fanno almeno 3 cervelli (2 delle persone + 1 del gruppo).
I mezzi di comunicazione sono solo “mezzi”, una specie di cassetta degli attrezzi da cui attingere a seconda del bisogno. Tanti più se ne hanno a disposizione, tanto più si sarà in grado al momento giusto di usare lo strumento giusto.

Secondo: bisogna valorizzare le capacità del singolo all’interno del gruppo. Data la varietà di mezzi di comunicazione, si deve trovare il modo in cui ogni persona trovi il mezzo che gli è più congeniale. In questa maniera la persona è suo agio nell’usarlo e di conseguenza è motivata a usarlo. Se sono particolarmente bravo a usare un mezzo, devo essere lasciato libero di farlo a beneficio di tutti, rispettando le regole comuni. Diversamente, nel caso non mi sia permesso di usarlo, il mio contributo al gruppo sarebbe nullo, perché magari mi trovo bene solo con quello, non so cioè esprimermi in altro modo.

Terzo: non possiamo sapere adesso cosa di tutti questi nuovi strumenti di comunicazione funzionerà e cosa no, bisogna provare un po' tutto, perché bisogna esserci quando si saprà. Quando si saprà potrebbe essere già troppo tardi. Nessuno sa cosa ci riserva il futuro, come abbiamo visto all’inizio, con le “ultime parole famose”, siamo abbastanza miopi nel capire adesso cosa sarà domani (provate a leggervi . Se però cerchiamo di usare un po’ tutto, magari qualcosa si azzecca.

Tutte queste considerazioni però non possono prescindere, dal più importante strumento a disposizione del gruppo, la responsabilità del singolo è la base del lavoro di gruppo:
le cose vanno fatte bene,
nel rispetto degli altri,
nel rispetto delle regole,
prendendosi le proprie responsabilità,
a beneficio del gruppo

Tutta questa è la teoria, la pratica poi si scontra con il sempre poco tempo a disposizione, e le sempre poche persone disponibili. Sta nella capacità del singolo trovare il modo di conciliare il tutto a favore di tutti.

Troppo complicato? Beh, se vi può consolare, non ho mai letto da nessuna parte che è facile.

Aggiornamento del 25/02: come segnalato da Simone, ho corretto un refuso su paura e ignoranza.

Link:

Ultime parole famose da wikiquote
Isaac Newton da Wikipedia

7 commenti:

Simone Tolotti ha detto...

Ottimo post, complimenti.
Credo però che la paura sia figlia dell'ignoranza e non vice versa. ;-)
L'esempio lampante è una discussione recente sul forum di ubuntu-it in cui mi è stato detto che la ricerca desktop semantica è una roba da segaioli mentali, per cercare un documento bastano gli strumenti già esistenti (Kfind/Gnome-search-tool). PS.:Se per caso ti capita di sentire qualcuno che sta lavorando a Tracker/Beagle/Strigi/Nepomuk fagli sapere che sta buttando il suo tempo. ;-)

Anonimo ha detto...

Bellissimo post, Dario. Complimenti! :)

Dario Cavedon ha detto...

@ Simone

Grazie per la segnalazione sulla paura, era un refuso, che adesso ho corretto.

Il forum è bello perché è un posto dove si trovano tutte le opinioni "del mondo"! :-)
Come in tante altre cose, più che dei pregiudizi, bisogna avere una visione completa, motivata e razionale delle cose. Insomma bisogna mettere davanti i fatti, e poi esprimere opinioni a riguardo. Ultimamente, con il brutto esempio di TV e giornali, si esprimono sempre più opinioni che prescindono o adirittura ignorano completamente i fatti.

Filippo ha detto...

seppure marginale il concetto della natura della paura e dell'ignoranza vorrei esprimere con il massimo rispetto il mio punto di vista dicendo che è "banale" affermare che la paura è figlia dell'ignoranza. La paura è il sentimento che si prova di fronte a ciò che non si conosce, ciò che si ignora. quindi è vero in questo senso che la paura è figlia dell'ignoranza ma secondo me senza accezione negativa. di per sè la paura è un sentimento umano che anche le persone più forti e scienti provano. ciò che cambia è la quantità di coraggio con cui la si affronta. gli esempi da voi portati perciò secondo me sono più affini al "rifiuto del nuovo" e alla mancanza di coraggio, da cui ignoranza voluta figlia del rifiuto, la peggior cosa che ci possa essere.

Dario Cavedon ha detto...

@ Filippo

Grazie per l'intervento.

Ho capito la distinzione che fai tra paura e rifiuto. Ma secondo te da cosa nasce il rifiuto? Non voglio dire che il rifiuto del nuovo nasce solo dalla paura, può nascere anche dalla superficialità con cui si valutano le cose, oppure da pregiudizi, oppure dall'arroganza di pensare di non avere niente da imparare.

In tutti questi casi, ci vuole una buona dose di coraggio, e anche di umiltà nel verificare e tentare strade che magari altri non hanno mai percorso.

Unknown ha detto...

Interessantissimo e molto condivisibile.
Spesso, tuttavia, le diatribe si sviluppano sull'utilità o meno di uno strumento, sulla sua spinta innovativa rispetto ai precedenti (ha sempre dei precedenti, parafrasando "le spalle dei giganti"..) e via dicendo.
Per prendere un tuo esempio: il cambio automatico è comodo, nelle ultime evoluzioni cerca di metter una pezza ad uno dei suoi tanti limiti, la sportività, ma è ancora lontano dall'essere quello che vorrebbe: continua ad esser pesante (influisce sui consumi), costoso (ha quindi un gap economico rispetto il concorrente), e, riprendendo il vecchio adagio, "tutto quello che non c'è non può rompersi".
Ora mi domando: il problema del cambio automatico è lo scetticismo di chi non ne vuol sentir parlare o i limiti che si porta appresso da quando è stato commercialmente immesso nel mercato, a cui si cerca di sopperir, nei decenni, con timide evoluzioni, pur di non buttar un progetto "limitato"?

Dario Cavedon ha detto...

@ Alessandro

Spunto interessante. Ritengo che molta parte della "resistenza" al nuovo sia data anche da pregiudizi (altro sintomo dell'ignoranza).
Per esempio il cambio automatico, i pregiudizi dicono che consuma troppo e che è "troppo tranquillo" per essere considerato in una guida sportiva.
Entrambi i pregiudizi sono smentiti proprio dalla Formula 1, che lo usa da anni proprio per ottimizzare i consumi (cambia al momento giusto) e per garantire una cambiata migliore (più veloce, al giusto regime di rotazione del motore) ai piloti.

Chiaro che fin che ci saranno pregiudizi, ben poca strada potranno fare le idee. E che le idee migliori saranno di quelli che hanno creduto alla bontà delle stesse.

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